Lo spazio Settantavendidue di Milano dove si contamina arte, musica, libri e design
Articolo di Giulia Giaume - 14 Marzo 2024 - Artribune.com
È frutto di un progetto collettivo il nuovo hub sui Navigli che apre a una contaminazione tra libri, sound art, architettura e design. “L'idea è quella di prescindere dal mercato, senza edulcorare la difficoltà”.
Da qualche mese sul Naviglio Grande, a Milano, ha aperto un nuovo spazio dedicato alla cultura contemporanea, alla ricerca e alla sperimentazione: siamo da Settantaventidue, progetto fondato da Alessandro Scotti con il coinvolgimento di Giuseppe Ielasi, Nicola Mafessoni, Daniel Marzona, Luca Pitoni, Valentino e l’editore bresciano Bruno Tonini. Grazie ai diversi percorsi dei fondatori nell’ambito della grafica, della curatela, della musica e della bibliofilia si mescolano in questo hub no profit, a pochi passi da San Cristoforo sul Naviglio, l’arte contemporanea (residenze incluse) e l’architettura, la sound art e il design, la musica contemporanea e l’amore per i libri, anche rari.
“L’idea è quella di prescindere dal mercato: un fondamentale tentativo di sfida, con pezzi importanti e difficili da vedere, che spesso nelle gallerie non hanno spazio”, racconta Scotti ad Artribune. “Noi guardiamo all’arte concettuale e agli ambiti della ricerca radicale seguendo il nostro interesse e cercando di aprirci davvero a chi non frequenta le gallerie, il cui accesso ha molte barriere”. Una scommessa difficile, quella aperta lo scorso novembre, che sta funzionando: “Siamo riusciti a proporre un programma complesso con un’arte cerebrale, non facile e che richiede tempo, che però sia accogliente. L’idea di “rendere qualcosa accessibile semplificandolo” è un grande equivoco: serve solo un altro modo, quello giusto, di rendere comprensibili discorsi e teorie senza proporne una versione edulcorata”.
Progetti in contemporanea e anime diverse da Settantaventidue
Flessibile e trasversale, Settantaventidue propone una programmazione sfaccettata anche grazie al suo particolare design: “Lo spazio, la nostra seconda grande sfida, è stato progettato in modo tale da poter ospitare una serie di mostre diverse, tutte tendenzialmente monografiche, molto piccole, che vengono pensate in modo che contengano anche solo un pezzo capitale nel percorso di ricerca di un artista storicizzato”, continua Scotti. “Tendenzialmente lavoriamo con artisti con percorsi molto solidi, a volte anche morti, selezionando dei pezzi che abbiano queste caratteristiche, come nel caso delle tubazioni di Charlotte Posenenske”.
C’è la Canal Project Room, la galleria curata da Nicola Mefessoni e Daniel Marzona che presenta artisti contemporanei spesso poco noti in Italia; l’Hypogeum, una raccolta sala per proiezioni di video arte e installazioni di sound art; Noiseless, dove sono ospitate le (richiestissime) performance; le Tubae, due grandi teche rivolte verso la strada e pensate per installazioni e personali, che conferiscono molta permeabilità allo spazio; The Office, uno spazio di lavoro che ospita documenti legati all’arte del secondo Novecento e dei primi Duemila; infine, sul ponte della ferrovia poco distante, c’è l’ultimo spazio espositivo: la Billboard, un grande cartellone di metallo. “Qui invitiamo gli artisti a fare un’opera di arte pubblica a disposizione della città. Ora c’è Braco Dimitrijević”, racconta Scotti. “Lui ha fatto per noi un capitolo della sua opera continua ‘Casual Passer-by’, riproposta in Biennale e a Documenta, che nasce nel ’72 ai tempi della Jugoslavia, e adatta i ritratti di persone qualsiasi al linguaggio dell’eroismo sovietico”. Alle due persone affisse oggi sono attribuiti degli statement dell’artista: l’idea è che “se oggi non siamo più sotto quel tipo di dittatura, siamo legati a un’altra, quella delle piattaforme e dei social media”.
Il programma espositivo di Settantaventidue
Il 15 marzo 2023 apre la nuova stagione di mostre: nella Canal Project Room arriva Pino Pascali. Baco da Setola a cura di Mafessoni e Marzona. Si tratta dell’opera esposta alla mostra 500 Artisti per Innocenti e per le Altre Fabbriche Occupate che si tenne nella primavera del 1976 alla Permanente di Milano: tra le opere esposte “come mobilitazione culturale a favore dei lavoratori in lotta” – messe in vendita con una lotteria che dava priorità nella scelta delle stesse –, c’era anche la scultura di Pascali, comprata allora e fino al 2021 non più accessibile. Gioco di parole tra il “baco da seta” e la “setola” per scovolini, la complessa e meticolosa opera datata 1968 sfidava (e lo fa ancora) le nozioni tradizionali di scultura e ridefinisce i confini tra arte e oggetti di uso quotidiano.
Esposta nelle due grandi teche che danno sulla strada, esperibili anche dai passanti, c’è invece Apograph, personale dell’artista concettuale Joel Fisher, che racconta: “Ho raccolto da vari luoghi tutti i miei lavori cartacei che non erano stati venduti e li ho assemblati in ordine cronologico. Ho ridotto in poltiglia questo materiale e da esso ho ricavato quanti più fogli di carta possibile […] Dopo che veniva prodotta ogni nuova carta, una piccola quantità di polpa fresca veniva versata nella vasca”. Il risultato è “una semplicità finale, una semplicità relativa. I fogli sovrapposti mi ricordano la sequenza in cui le carte emergono, una alla volta, dall’acqua. La stratificazione implica potenzialità e rafforza la forma […] La carta è il mezzo, per così dire, di una reincarnazione materiale; conservando, così, un ricordo della vasca. Il suo passato immediato è una delle potenzialità della carta. Intrappolato tra memoria fragile e potenzialità abbondanti c’è anche qualcosa di abbastanza sorprendente da percepire: un foglio di carta bianco è un oggetto molto bello”. E dotato di una forte “dimensione aleatoria”, chiosa Scotti, “che è un po’ la summa di tutta la sua ricerca”.